MA DAVVERO BISOGNA ACCETTARE TUTTO PER ESSERE “SPIRITUALI”?

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• Questa è proprio una delle domande su cui non si finisce mai di dibattere. Una domanda che ne genera altre, come ad esempio: è giusto esercitare l’accettazione davanti ad un torto o ad una ingiustizia grave?

Ci arrovelliamo ma, o non sappiamo cosa risponderci, o ci aggrappiamo a delle risposte che per un po’ sembrano essere giuste, ma a lungo andare si rivelano per quello che sono: limitate, non definitive, destinate a cambiare.

Provate la terapia Zen

Nei testi delle religioni tradizionali orientali, spesso si incontrano delle specie di rompicapo, dei quesiti che apparentemente non hanno via di uscita, anche perché sono concepiti con il consapevole intento di risultare paradossali. Così capita con le piccole storie dello Zen (piccole solo perché brevi, ma in verità sono molto potenti).
Pensiamo ad esempio al famoso “indovinello” sul “suono di una sola mano”:
[…]«Tu puoi sentire il suono di due mani quando battono l’una contro l’altra» disse Mokurai. «Ora mostrami il suono di una sola mano». […]
È ovvio che la risposta non potrà che appartenere ad una logica diversa da quella ordinaria. Tutti riusciamo ad intuire che la soluzione non consiste nello scoprire il meccanismo fisico in base al quale riusciremo davvero a sentire il suono di una sola mano!

Ci sembra chiaro, quando leggiamo i koan dello Zen, che per giocare con delle domande apparentemente insensate, dobbiamo rivolgerci al lato spirituale, non a quello “razionale”.
I quesiti Zen sono domande aperte, non prevedono la ricerca di una ovvia soluzione, ma anzi invitano il pensiero ad uscire da ogni gabbia. È come se ci suggerissero: “Ecco, ti metto davanti questo piccolo regalo assurdo, prova a vedere se riesci a farci qualcosa. Certo, non sperare di cavartela a buon mercato, usando la razionalità! Cerca di restare in compagnia del dilemma affinché l’attesa ti porti a qualcosa… che scoprirai per vie tue. E poi ci dirai, facci sapere.”

Probabilmente un Maestro orientale non si esprimerebbe mai nei termini a cui noi occidentali moderni siamo ormai abituati. Non ci porrebbe mai questioni del tipo: se Dio è infinitamente buono, perché permette che nel mondo ci sia la crudeltà? Oppure: se è vero che bisogna accettare tutto, devi o non devi intervenire di fronte a un’ingiustizia?
Ma in fondo il meccanismo è lo stesso, abbiamo ugualmente a che fare, sia noi che loro, con domande paradossali.

Riguardo certi quesiti, possiamo smettere di cercare la Risposta Giusta e definitiva… perché non c’è!
Possiamo però usare il piccolo cortocircuito che ci creano dentro per comprendere che non saranno né la logica né la morale comune a tirarcene fuori.
Davanti ad un indovinello Zen possiamo permetterci di lasciare che i ragionamenti si spezzino, dimostrando la loro inutilità, e lascino spazio ad altro.

Tutte le domande di ordine spirituale funzionano così.
Anche quelle da cui siamo partiti, che riguardano l’accettazione. Nessuno di noi è in grado di stabilire cosa sia giusto o sbagliato, o cosa sia meglio fare in termini assoluti. Non siamo Dio.

7 buoni motivi per continuare ad arrovellarci!

Ma allora, ha senso continuare a soffermarsi su quesiti che riguardano temi quali giusto, sbagliato, accettazione?
Sì, ne ha, indubbiamente. Perché questi quesiti stimolano e addestrano in noi alcune abilità molto interessanti, e cioè:

1) Pensare non soltanto in termini utilitaristici.
2) Andare oltre i rapporti di causa ed effetto.
3) Elevarci, perché si tratta di questioni Alte, anche se può sembrare che in loro compagnia non andiamo da nessuna parte.
4) Sgretolare qualche limitante certezza, rendendoci così persone migliori.
5) Essere più aperti verso la vita.
6) Sentirci meno sicuri, meno importanti, quando ci troviamo davanti a questioni più grandi di noi.
7) Avere, ogni tanto, un atteggiamento più benevolo verso gli altri: che cosa ne sappiamo noi di cosa sia meglio per loro? Inoltre, fermarsi a riflettere di fronte a questa domanda non corrisponde forse una delle tante forme dell’accettazione e dell’amore?
Più benevoli verso il prossimo, più benevoli verso noi stessi.

 

Non ce ne siamo accorti, ma nel frattempo, per qualche misteriosa e tortuosa via, il nostro brancolare nel buio ci ha portati da qualche parte che non ci aspettavamo.
La vita spirituale è fatta così; a volte basta essersi appena rassegnati al fatto di non capirci un bel niente… per conquistare un nuovo spazio di coscienza. Ci ritroviamo più morbidi, più umili, più comprensivi. E siccome da noi proprio non ce lo aspettavamo, è un dono ancora più bello!

Soffermiamoci sui dilemmi che forzano i nostri limiti, che ci portano scompiglio e che sembrano senza soluzione, perché hanno in sé una potenza grandiosa. Non rifiutiamoli solo perché ci inquietano o addirittura ci paralizzano.
Se smettiamo di combatterli cercando la Risposta Giusta, si riveleranno per quello che sono: delle porte aperte sulla nostra forza interiore, che ci regaleranno sicuramente un po’ del loro potere di guarigione.

Lasciamo che le Domande agiscano in noi: scopriremo che sono degli ottimi terapisti!

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