DUE MAESTRI, UN’UNICA VIA (cap. 2)

| di GAIA S. LAMON |
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~ La mente ~

“Ho una mente, ma non sono la mia mente”

Si può ora passare a vedere in modo più approfondito quello che Tolle dice riguardo la funzione della mente, del pensiero. La frase con cui apre il discorso è già molto sintetica: “Pensare è diventato una malattia”. Inizia quindi con l’osservare come l’utilizzo distorto, preponderante e non armonico della funzione mentale porti a vivere una vita interiore fortemente segnata dal malessere, se non addirittura dalla patologia.
Il passo immediatamente successivo è individuare nella identificazione con i pensieri il punto cruciale della creazione del malessere. Ed ecco che troviamo una totale coincidenza di vedute con l’approccio psicosintetico, che si fa ancora più forte quando Tolle introduce il concetto della Presenza-testimone cioè dell’Io osservante, e inizia a spiegare come funziona la pratica dell’essere spettatori dei propri pensieri, che ci permette di non venirne inconsapevolmente posseduti. È la pratica della disidentificazione, cui Assagioli ci introduce utilizzando la metafora così efficace del teatro, nella quale i nostri contenuti psichici (che siano funzioni o subpersonalità) si muovono indisciplinatamente sul palco , finché non interviene a coordinarli e dirigerli “il regista”, ovvero la presenza coordinatrice dell’Io.
Riporto qui sotto uno dei brani di Tolle sull’argomento, perché mi sembra molto chiaro, forte, semplice e diretto. Dopo le sue parole, approfondirò alcuni degli aspetti citati dal punto di vista psicosintetico.

“Pensare è diventato una malattia. La mente è uno strumento eccezionale se usato nel modo giusto. Nel modo sbagliato diventa distruttiva. Per essere più precisi il problema non è tanto che usiate la mente in modo sbagliato, quanto che è la mente ad usare voi. Questa è la malattia. Voi ritenete di essere la mente. La mente si è impadronita di voi. Inconsapevolmente vi identificate con la vostra mente, per cui non sapete nemmeno di esserne schiavi. È come se foste posseduti senza saperlo, per cui scambiate per voi stessi l’entità che vi possiede.. Nel momento in cui cominciamo a osservare l’entità pensante, si attiva un più alto livello di consapevolezza.
Allora cominciate a capire che vi è un vasto regno di intelligenza aldilà del pensiero, che il pensiero è soltanto un aspetto minuscolo di tale intelligenza.

Ognuno di noi sente delle voci nella testa: i processi di pensiero involontari che non ci rendiamo conto di poter fermare. Monologhi o dialoghi continui. La buona notizia è che potete davvero liberarvi dalla mente. È questa l’unica vera liberazione: potete cominciare subito, ascoltando la voce nella vostra testa quanto più spesso possibile. Siate lì come presenza testimone. Non date giudizi. Non giudicate o condannate ciò che sentite (…)
Osservate colui che pensa. Siate lì come presenza testimone. Ve ne renderete conto presto, la voce è lì e voi siete qui ad ascoltarla. Ascoltate la voce nella testa, siate lì come presenza testimone. Questa realizzazione dell'”io sono”, questo senso delle propria presenza, non è un pensiero, nasce al di là della mente”.
Tolle qui ci parla di una molteplicità di voci che si alternano nella nostra testa. Viene spontaneo il rimando all'”animo molteplice” della psicosintesi. Quanti personaggi, quante parti, quante subpersonalità si alternano nella nostra testa, prendendo la parola? Hanno però in comune una caratteristica: tutte quante, quando parlano, dicono: IO! Ciò che si può fare è quanto anche Assagioli suggerisce:
“Quando ascoltate un pensiero siate consapevoli non soltanto del pensiero ma anche di voi stessi come testimoni del pensiero. In questo stato di sintonia interiore si è molto più vigili, più svegli rispetto allo stato di identificazione con la mente. Si è totalmente presenti. Quando un pensiero si placa, si ha esperienza di una discontinuità nel flusso mentale, un intervallo “senza mente”. Dapprima gli intervalli saranno brevi, forse pochi secondi, ma a poco a poco si faranno più lunghi. Quando si verificano questi intervalli, si avverte una certa quiete e pace interiori. Questo è l’inizio del vostro stato naturale di unione con l’Essere, che di solito è oscurato dalla mente. Con la pratica, il senso di tranquillità e di pace si approfondisce”.

Ciò che Tolle, proseguendo, ci dice sul funzionamento della mente, è argomento anche di molti testi di psicosintesi, a partire da Bonacina. Noi crediamo di agire utilizzando il “raziocinio”, in realtà i nostri pensieri sono talmente condizionati dall’emotività e dal desiderio, che di raziocinio ne usiamo ben poco:

“La mente è uno strumento, un attrezzo. Esiste per essere utilizzata per un compito specifico, e quando il lavoro è terminato, deve essere deposta. Per come stanno le cose, direi che dall’ 80 al 90 per cento del pensiero della maggior parte di voi sia non soltanto ripetitivo ed inutile, ma per via della sua natura disfunzionale e spesso negativa sia anche in gran parte dannoso. Se osservate la vostra mente scoprirete che è così. Ciò causa una grave perdita di energia vitale. Questo genere di pensiero compulsivo è in realtà una dipendenza, come nel caso di una droga. Che cosa caratterizza una dipendenza? Questo: semplicemente non vi rendete più conto di poterne fare a meno. Sembra più forte di voi. Inoltre vi dà un falso senso di piacere, un piacere che invariabilmente si trasforma in dolore”.

Il pensiero è diventato una malattia, quindi. Per aggiungere una connotazione psicosintetica, possiamo dire che Assagioli distingueva tra le persone che tendono ad identificarsi con la mente, quelle che lo fanno con il corpo, quelle che vivono di emozioni. In ognuno di noi c’è una tendenza diversa, in base alla storia che abbiamo. Chiaramente non si tratta di rinunciare a pensare (o a provare emozioni), però è necessario riportare la funzione mentale alla sua giusta dimensione. Utilizzarla in modo efficace è molto più facile quando si sceglie come farlo, anziché esserne soggiogati (anzi, come dice Tolle, quasi dipendenti, come se fosse una droga)

“La supremazia della mente non è che una fase nell’evoluzione della consapevolezza. Ora abbiamo bisogno di passare alla fase successiva; altrimenti saremo distrutti dalla mente, che è diventata un mostro. (…) Nello stato illuminato si continua a usare la mente quando è necessario, ma in una maniera molto più concentrata ed efficace rispetto a prima.
La mente è una macchina per la sopravvivenza. Attacco e difesa contro altre menti, raccolta, conservazione e analisi delle informazioni. Ecco in cosa eccelle, ma non è affatto creativa. (…) Non è stato attraverso la mente, attraverso il pensiero, che è nato e si perpetua il miracolo della vita sulla terra o del nostro organismo. Vi è all’opera un’intelligenza molto più grande della mente. Più cose imparate riguardo al funzionamento del corpo, più vi rendete conto di quanto vasta è l’intelligenza all’opera al suo interno e di quanto poco ne sapete. Quando la mente ritorna in sintonia con tutto questo diventa uno strumento meraviglioso. Allora si mette al servizio di qualcosa di più grande della mente stessa”.

Per tornare alla subpersonalità, noi sappiamo che ognuna di esse, tendenzialmente, lotta per sopravvivere. In fondo le nostre parti compongono il grande mosaico della nostra personalità. E noi siamo identificati con esso. Questo però comporta dei rischi, per esempio quando dobbiamo difendere una posizione o stabilire se abbiamo torto o ragione. E quindi nelle righe successive Tolle ci chiede: Che cosa state difendendo?

“Se voi vi identificate in una posizione mentale, allora quando avete torto il vostro senso del sé basato sulla mente viene seriamente minacciato di annullamento. Per questo il vostro ego non può permettersi di avere torto. Avere torto significa morire. Su questo si sono combattute molte guerre e si sono rotti innumerevoli rapporti personali.
Una volta che avete eliminato l’identificazione con la mente, il fatto di avere ragione o torto non fa alcuna differenza per il vostro senso del sé, per cui il bisogno compulsivo di avere torto o ragione non esisterà più. Potete affermare chiaramente e con fermezza ciò di cui siete convinti, ma non vi sarà in questo nessuna difesa o aggressività. State attenti ad ogni senso di difesa dentro di voi. Che cosa state difendendo? Un’identità illusoria, un’immagine nella vostra mente, un’identità fittizia. Rendendo consapevole questo schema, essendone testimoni, eliminate la vostra identificazione con esso. Alla luce della consapevolezza, lo schema inconsapevole, allora, si dissolverà rapidamente”.

Come spiega Petra Nocelli in “La Via della Psicosintesi”, l’Io è spesso confuso con la personalità cosciente, ma in realtà è diversa da questa. La psicosintesi considera i mutevoli contenuti della coscienza (i pensieri, le emozioni, le sensazioni, le immagini, le intuizioni, le subpersonalità) distinti dall’Io autocosciente che li contiene, li percepisce e li osserva. Questa differenza si potrebbe paragonare a “quella esistente tra l’area illuminata di uno schermo (io) e le immagini cinematografiche che vi sono proiettate (i contenuti)” (Assagioli). La disidentificazione dell’io dal flusso di tali contenuti è considerata un’esperienza fondamentale nel processo di maturazione psicologica di una persona. Come spiega ancora Assagioli in “L’atto di volontà”: “questo continuo affluire di influssi vela la chiarezza della coscienza e produce delle false identificazioni dell’io con il contenuto della coscienza, invece che con la coscienza stessa.(…) Questa identificazione con una sola parte della nostra personalità, può soddisfare temporaneamente, ma ha gravi impedimenti. Ci impedisce di realizzare l’esperienza dell’Io, il senso profondo di autoidentificazione, di sapere chi siamo (…) Infine identificarci continuamente con un ruolo o una funzione predominante porta spesso ad una precaria situazione di vita che prima o poi si traduce in un senso di perdita, perfino di disperazione…”
Anche Tolle individua come un punto centrale la confusione che viene fatta tra la personalità cosciente e quell’Io osservante che la psicosintesi chiama “Io”. Si crea così una totale dipendenza da questo nostro falso modo di essere, che ci prosciuga delle nostre energie, proprio perché usiamo tutte le nostre forze per mantenere una identità illusoria. In fondo, sia Tolle che il modello psicosintetico ci invitano a distaccarci da questi contenuti, che sono in realtà anche delle credenze, degli schemi acquisiti familiari, sociali e nazionali e a provare a rivolgerci verso la nostra vera essenza, la nostra natura più profonda. Nell’esercitarsi in questa opera di distacco e disidentificazione, Tolle è sicuramente un grande maestro. Ma, rispetto ad Assagioli, non formula un modello psicologico completo dell’essere umano, cioè non sistematizza in modo metodico le risposte ad alcune domande. Da questo punto di vista, Assagioli va oltre. Infatti, arrivati a questo punto del percorso, noi ci possiamo chiedere:
“E allora, chi sono io?” che rappresenta poi una delle domande chiave non solo della psicosintesi, ma di tutta la psicologia umanistica. Si apre allora, dentro di noi, una riflessione sulla effettiva natura di questo Io, che -sia in Tolle che in Assagioli- osserva e dirige i nostri contenuti emotivi e mentali.
Continuando con Nocelli, vediamo che la manifestazione più diretta ed immediata dell’Io “è il senso insopprimibile di identità personale che permane lungo tutta la nostra esistenza nonostante gli sviluppi e le trasformazioni a cui andiamo incontro. L’io cosciente in realtà è da intendersi come quella parte di Sé transpersonale che permane lungo tutta la nostra esistenza nonostante le trasformazioni a cui andiamo incontro. L’io cosciente è da intendersi come quella parte di Sé transpersonale immersa nei contenuti psichici della personalità umana e nella molteplicità delle situazioni esistenziali.”
Nel discorso di Tolle si fondono aspetti di tipo personale e transpersonale. È evidente quando parla di “un’intelligenza molto più grande”: quella che ci fa cogliere il lato sacro della vita, e la sacralità della stessa esperienza umana. L’Io ci dona il senso insopprimibile della nostra identità umana, ma è anche, in psicosintesi, un riflesso del nostro Sé Superiore che irradia la sua luce perenne durante tutti nostri cicli vitali.
Nell’opera di Tolle entrambi gli elementi, l’Io e il Sé, sono presenti, anche se il nostro autore, come ho già sottolineato, non sistematizza questa aspetto. È più un insegnante spirituale che uno psicologo (o un counselor!). Sul tema del Sé, e dell’Io come suo riflesso, che è non soltanto importante ma molto ampio, tornerò più avanti.

Ma torniamo alla domanda “Chi sono io?” Essa è fondamentale in tutto il processo psicosintetico perché è la domanda che ci poniamo, in modo pratico, alla fine degli esercizi di disidentificazione. Grazie ad Assagioli, è una domanda che non rimane nel vago, non rimanda a un misterioso senso del sacro irraggiungibile e indefinibile, ma è una domanda che ha una risposta. Infatti, nel praticare gli esercizi di disidentificazione, stabiliamo ed enunciamo con chiarezza ciò che non siamo, per poi passare ad enunciare, con forza, quello che invece siamo:

“Io ho un corpo, ma non sono il mio corpo.
Ho delle emozioni, ma non sono le mie emozioni
Ho una mente, ma non sono la mia mente
Allora io cosa sono? Che cosa rimane quando mi sono disidentificato dal mio corpo, dalle mie sensazioni, sentimenti, desideri, mente e azioni?
L’essenza di me stesso: un centro di pura autocoscienza. Il fattore permanente nel flusso mutevole della mia vita personale. È questo che mi dà il senso di essere, di permanenza, di equilibrio interiore. Io affermo la mia identità con questo centro e ne riconosco la permanenza e l’energia”. (da L’Atto di Volontà)

Si compie così il passaggio dal caos all’unità, dal molteplice all’uno, come risultato di una pratica quotidiana che consiste nell’osservare ciò che ci accade dentro e nel comprendere che questo magma “non siamo noi”. Due aspetti, in relazione a questo sono ancora importanti da sottolineare. Il primo, è che sia per Assagioli che per Tolle, questa osservazione deve avvenire senza giudizio. Il secondo è che le nostre parti represse racchiudono una grande energia. Entrambi gli aspetti richiamano continuamente al fatto che in sé i contenuti non sono né buoni né cattivi, semplicemente sono lì, e fanno parte della nostra vita. La capacità di vederli per quello che sono implica già in sé il passaggio verso la disidentificazione, che non coincide con la loro eliminazione. In pratica, riuscire a vedere un nostro aspetto che ci dà malessere (ma anche benessere!) rappresenta già un movimento interiore nuovo, e potenzialmente rivoluzionario, perché implica un movimento di coscienza e, insieme, un gesto di profonda accettazione. L’accettazione è tale proprio perché non giudica, non discrimina, non elimina. È forse il modo più potente di “dire sì alla vita”, di incamminarci verso quella resa consapevole, che sola può donarci la pace. Quando riusciamo a compiere questo tipo di processo interiore sentiamo un senso di liberazione, di rinascita, e questo perché le parti di noi che stiamo accettando -e quindi, finalmente, integrando- hanno una loro potente energia. Energia che, se repressa dal giudizio e dalla non accettazione, si trasforma inevitabilmente in potente malessere.
Quando siamo nell’inconsapevolezza, entriamo dentro dei ruoli. Come ben descrive Tolle, possono essere di attacco e di difesa, o di posizioni torto o ragione. Sono parti che lottano strenuamente per la loro sopravvivenza, perché “se voi vi identificate in una posizione mentale, allora quando avete torto il vostro senso del sé basato sulla mente viene seriamente minacciato di annullamento” dice Tolle nel brano che ho riportato. E cosa c’è di più vicino al modello psicosintetico delle subpersonalità? Parti di noi, antiche o recenti, che si sono formate in difesa di qualche ferita persa nel tempo ma non cancellata dal nostro mondo interiore, continuano ad agire e a farci agire creando il dramma. E che, finché non vengono riconosciute ed accolte per quello che sono ed esprimono (a partire dai loro bisogni), continueranno ad inscenare sempre la stessa recita. Ma l’accettazione, e questo è un fondamento del counseling psicosintetico, può avvenire soltanto partendo dall’Io.
L’insegnamento di Tolle è stato per me di estrema importanza per migliorare e approfondire la mia capacità di accettare senza giudizio i contenuti psichici, ricontattando il mio centro di autocoscienza. Penso che ognuno di noi abbia tanti modi di facilitare questo processo, e anche di creare liberamente gli esercizi di disidentificazione migliori per sé, regolandosi sul proprio modo di essere e sulle proprie tendenze. Certo bisogna avere il desiderio di guardarsi dentro, l’onestà di accettare quello che arriva e soprattutto… la Volontà di iniziare a farlo! Perché, come ci insegna la psicosintesi, la Volontà è il mezzo attraverso il quale il nostro Io, il nostro centro di autocoscienza, agisce nel mondo, permettendoci di essere quello che siamo veramente e cioè di provare a vivere in modo pieno integrando ogni giorno, ogni ora, tutte le nostre parti, quelle sofferenti e quelle allegre e spericolate, ma tutte quante piene di energia. Quell’energia che possiamo chiamare vita. Come ci ricorda Tolle ad ogni pagina… “Ovunque siate, siateci totalmente”!

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